C’è un filo sottile ma resistente che lega il modo in cui ci muoviamo nel mondo al modo in cui ci relazioniamo con gli altri. Non è soltanto una questione di traffico o di mobilità elettrica, ma di relazioni, di ascolto, di linguaggio. Pensiamo spesso alle case automobilistiche come a giganti di ferro e tecnologia, lontani dai problemi quotidiani delle famiglie. E invece, dietro loghi e numeri di bilancio, restano persone che vivono lo stesso smarrimento dei genitori davanti a uno smartphone, lo stesso timore di fronte a un insulto che corre veloce in chat.
È in questo contesto che Citroën sceglie di fermarsi un attimo – non sulle linee di montaggio, ma sul piano del pensiero – e di interrogarsi sul peso delle parole. Martedì 10 dicembre, la sede Stellantis Italia di via Plava 80, a Torino, diventa il palcoscenico di un esperimento umano prima che aziendale: il workshop “Il peso delle parole”, un momento di confronto dedicato ai dipendenti ma con lo sguardo rivolto ai ragazzi, alle famiglie, alle nuove generazioni che vivono gran parte della propria vita emotiva dietro uno schermo.
Nel mirino non ci sono solo le “parole grosse”, gli insulti espliciti, ma anche le sfumature: una battuta di troppo in un gruppo WhatsApp, un commento ironico sotto una foto, un silenzio calato all’improvviso. In un mondo iperconnesso, la responsabilità delle parole diventa un tema che nessuna azienda può più permettersi di ignorare.
Un workshop che parte dalle famiglie, non dai numeri
La giornata torinese si apre con il saluto di Antonella Bruno, Country Manager di Stellantis Italia, e con l’introduzione di Giovanni Falcone, Managing Director di Citroën Italia. Non è il solito momento istituzionale da protocollo: qui la cornice aziendale serve solo a creare un contesto, poi il baricentro si sposta sulle persone.
Il cuore del workshop è l’intervento della psicopedagogista Antonella Elena Rossi, chiamata a guidare un dialogo vero, lontano dalla retorica. Non una conferenza frontale, ma una conversazione in cui i partecipanti possono portare dubbi, paure, domande che spesso restano chiuse in cucina, a sera, quando un figlio ammette di non voler più andare a scuola o di aver paura di aprire il telefono. Si parla di bullismo, certo, ma anche di quelle forme sottili di esclusione che passano inosservate agli adulti: un like negato, un meme usato per umiliare, la foto di classe in cui qualcuno viene tagliato fuori.
L’obiettivo è offrire strumenti concreti: come riconoscere i segnali di disagio, come intervenire senza colpevolizzare, come trasformare il dialogo famigliare in un rifugio sicuro e non in un tribunale. In sostanza, aiutare i genitori a diventare alleati credibili dei propri figli, e non un’ulteriore fonte di pressione.
A dare forza all’iniziativa c’è anche la dimensione digitale del workshop: grazie allo streaming, tutti i dipendenti del gruppo possono collegarsi, a prescindere dalla città in cui lavorano. Un modo per rendere davvero inclusivo questo momento, coerente con il messaggio che il linguaggio non deve escludere, ma includere.
Generation Ami: quando la mobilità educa
Il workshop di Torino non è un episodio isolato, ma parte di una strategia più ampia che porta Citroën fuori dagli showroom e dentro le scuole italiane. Da cinque anni, infatti, il progetto Generation Ami racconta un’altra idea di mobilità e di cittadinanza: più consapevole, più rispettosa, più attenta all’altro.
Con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e la collaborazione del Centro Nazionale Contro il Bullismo – Bulli Stop, Generation Ami ha già coinvolto oltre 44.000 studenti. Per l’anno scolastico 2025-2026 la sfida cresce: entrare in 700 nuove classi e raggiungere più di 15.000 ragazzi con un messaggio chiaro e semplice, ma tutt’altro che banale: il bullismo si combatte con la cultura, l’ascolto e l’inclusione.
Il programma non si limita alle slide. Nelle aule arrivano un kit didattico digitale, laboratori interattivi, momenti di confronto e un tour di workshop in presenza in venti istituti. Protagonista fisica, e non solo simbolica, è la Citroën Ami, il piccolo quadriciclo 100% elettrico guidabile dai 14 anni. Per i ragazzi è un oggetto del desiderio, un pezzo di futuro tangibile; per gli educatori è l’occasione per parlare di mobilità elettrica, di sicurezza, di rispetto delle regole e dell’ambiente.
Offrire ai giovani la possibilità di fare un test drive significa dire loro: “Ti considero all’altezza, ti ritengo capace di prendere decisioni responsabili”. È un gesto che lavora contro il bullismo in maniera indiretta ma potente, perché restituisce ai ragazzi autostima e fiducia, ingredienti fondamentali per non sentirsi schiacciati dal giudizio degli altri.
Oltre la meccanica: il DNA sociale di Citroën
Per capire perché un costruttore di auto arrivi a occuparsi di linguaggio, asili nido e educazione civica, bisogna fare un passo indietro nella storia. André Citroën non è stato solo un industriale visionario, ma anche un pioniere del welfare aziendale. Già nel 1915, quando i diritti dei lavoratori erano un privilegio per pochi, introduceva servizi come gli asili per i figli dei dipendenti. Tra il 1925 e il 1930 arrivarono le mense aziendali e le indennità di parto: scelte concrete, non slogan.
Quella “vicinanza alle persone” che oggi le aziende raccontano nelle campagne di comunicazione, per Citroën è un pezzo di identità profonda. Oggi si traduce in una gamma tra le più giovani e sostenibili d’Europa e in una presenza crescente nel campo della mobilità elettrica accessibile. Nel pomeriggio del workshop torinese, proprio i modelli elettrificati del marchio saranno al centro dei test drive, con la Citroën Ami ancora una volta in prima fila, affiancata dalle sue versioni speciali più iconiche, dalla avventurosa Ami Buggy alla grintosa Ami Dark Side.
Questi oggetti, colorati e personalizzabili, parlano ai ragazzi di libertà, di identità, di possibilità di essere diversi senza dover chiedere scusa. In fondo, il bullismo colpisce spesso chi non si adegua, chi stona rispetto al coro. Offrire veicoli che incoraggiano a esprimere la propria unicità è, in maniera sottile ma reale, un modo per dire: “La tua differenza ha valore”.
L’iniziativa di martedì ci ricorda che le aziende non sono solo bilanci e strategie, ma comunità di persone con responsabilità precise verso il contesto in cui operano. Il workshop “Il peso delle parole”, il progetto Generation Ami e gli investimenti nella mobilità elettrica mostrano come, quando il business incontra l’etica, il risultato possa diventare un valore condiviso che va oltre il profitto. Le parole possono ferire o guarire. Ma quando dietro ci sono azioni concrete, come quelle messe in campo da Stellantis Italia e Citroën, possono davvero cambiare la traiettoria del nostro futuro sociale.
















